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Donne e lavoro: il libro per riscoprire le fondamenta per un nuovo paradigma professionale

Nel suo libro “Lo Statuto delle Lavoratrici”, Irene Soave ritorna su alcuni articoli dello Statuto dei Lavoratori del 1970, adottando una prospettiva che enfatizza l’esperienza femminile. Questo approccio, definito come “femminile sovraesteso”, mira a risolvere le problematiche che coinvolgono specificamente le lavoratrici, con l’idea che migliorando le condizioni per le donne si possa ottenere un beneficio generale per tutti i lavoratori.

Questo libro rappresenta un indispensabile compagno di viaggio da tenere sempre a portata di mano, pronto per essere consultato quando serve, magari sulla mensola più vicina. La sua lettura offre l’opportunità di fare una pausa, rileggere un articolo e riflettere sul nostro percorso lavorativo e sulla nostra personale soddisfazione o insoddisfazione. In “Lo Statuto delle lavoratrici” di Irene Soave, l’autrice riconsidera alcuni articoli dello Statuto dei lavoratori del 1970, adottando una prospettiva “femminile sovraestesa”, con l’intento di affrontare le sfide che coinvolgono le lavoratrici per migliorare il benessere generale dei lavoratori. Il concetto di “lavoratrice” abbraccia coloro che desiderano un cambiamento nel mondo del lavoro, offrendo un’opportunità di introspezione e una panoramica dei diritti e delle sfide che incontriamo quotidianamente. Soave sfida l’idea dei “libri feel good”, offrendo invece una lettura che fornisce strumenti concreti e una comprensione più profonda della realtà e delle possibilità di cambiamento. Tra le pagine di questo libro, viene esaminata la complessa relazione tra lavoro e cura, evidenziando l’importanza di trovare un equilibrio tra le responsabilità professionali e quelle personali. Infine, viene sottolineata la natura dei “lavori ingordi”, che possono generare insoddisfazione e stress, secondo la prospettiva dell’economista Claudia Goldin.

Qual è il significato di tutto questo?

Si tratta di lavori che richiedono un coinvolgimento totale e che, tuttavia, conferiscono un senso di identità. Sono ambiti molto ambiti, che richiedono un lungo periodo di formazione e crescita, spesso decenni. Anche dopo aver superato le fasi iniziali, questi lavori non si riducono a un semplice orario di otto ore, poiché la loro insostituibilità è incoraggiata. Un esempio è il lavoro degli avvocati nei grandi studi legali, dove i clienti spesso richiedono una flessibilità oraria totale. Questi sono spesso ruoli ben retribuiti, dai quali è difficile rinunciare, data l’alta quantità di investimento personale ed economico necessario per raggiungerli.

È un tipo di lavoro che richiede una moglie a casa.

In una coppia in cui uno dei partner svolge un lavoro del genere, l’altro – spesso la moglie – si trova a dover svolgere un lavoro meno impegnativo, a meno che non si opti per l’esternalizzazione totale delle faccende domestiche, opzione spesso impraticabile per motivi economici.

Interessante notare il concetto di “ingordigia”.

Il termine è spesso usato in modo negativo, soprattutto quando si parla di donne che decidono di avere figli a un’età più avanzata, magari dopo aver raggiunto successo nella loro carriera. Tuttavia, ciò che desiderano non è considerato negativo per i loro partner maschili, i quali spesso ottengono ciò che vogliono senza essere giudicati.

Come possiamo cambiare questa prospettiva?

L’unica forma di ingordigia che dovremmo considerare è quella delle aziende, che sfruttano al massimo le risorse umane a loro disposizione. Questo è un tipo di ingordigia che raramente viene punita.

E all’estero?

In Italia, il 50% delle donne e il 68% degli uomini lavora, con un divario del 18% tra i due sessi, il più alto in Europa. Ma il divario di genere non è solo un problema italiano. Perfino nei Paesi con eccellenti infrastrutture di assistenza all’infanzia, come l’Islanda, esiste un divario salariale.

Di chi è la colpa?

Non possiamo colpevolizzare la società o lo Stato, ma le aziende. Devono cambiare il loro approccio al lavoro. Non possiamo continuare a mantenere un modello in cui la produttività è dettata da un’impostazione totalizzante del lavoro. Questo modello non funziona più, né per gli uomini né per le donne.

Come possiamo costruire un nuovo modello di lavoro?

Abbiamo bisogno di leggi più efficaci per regolare il mercato del lavoro. Senza lo Statuto dei Lavoratori, rischieremmo di ritrovarci tutti a lavorare a cottimo, dal chirurgo alla bidella. Dobbiamo essere consapevoli dell’importanza del lavoro quando esercitiamo il nostro diritto di voto.

Questo libro non riguarda solo le donne.

Il lavoro è un tema cruciale per tutti. Con nuove regolamentazioni e una migliore applicazione di quelle esistenti, tutti, e soprattutto le donne, potremmo lavorare meglio. Tutte le donne desiderano lavorare; non c’è nessuna che voglia dipendere economicamente da qualcun altro. La partecipazione femminile al mercato del lavoro è essenziale per migliorare la produttività.

Perché ha scritto questo libro?

Volevo esplorare il crescente senso di insoddisfazione lavorativa e offrire una prospettiva diversa. Il dibattito contemporaneo sembra anti-lavorista, ma questa visione non regge. Molti psicoterapeuti affermano che chi sta peggio è chi non lavora.

Qual è il primo passo che possiamo compiere?

Dobbiamo iniziare a parlarne. Dobbiamo riattivare i sindacati e avere discussioni con i nostri colleghi. La chiave è l’informazione: dobbiamo capire che non siamo soli nei nostri disagi. Bisogna anche informarsi: conoscere i nostri diritti è fondamentale.

F Rocchi

F. Rocchi è un redattore specializzato in lifesyle e si è laureato in pubblicità e relazioni pubbliche all’Università Statale di Milano. Sempre aggiornato sulle ultime tendenze di moda, adora le serie tv e la buona cucina.

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